Introduzione

Proprietà catalitiche delle zeoliti

  • Zeolite ZSM-5
  • Zeolite Y dealluminata
Metodologia delle indagini sulla disattivazione delle zeoliti utilizzate in impianto

Risultati delle indagini

  • Effetto della polvere
  • Effetto di solventi aromatici con elevato ingomgro molecolare
  • Effetto di monomeri polimerizzanti
Strategie protezione delle zeoliti e riattivazione


INTRODUZIONE

In un impianto di concentrazione solventi, operante con zeoliti idrofobe, affinché il costo di ricambio dell’adsorbente non rappresenti una voce eccessivamente determinante sui costi di esercizio è necessario assicurare per l’adsorbente una vita utile superiore a 15.000 ore, equivalente ad otto anni per un turno lavorativo al giorno.

Le zeoliti idrofobe formulate in particelle e disposte in letti fissi, pur sottoposte a cicli di rigenerazione fino ad 180 C, concettualmente hanno una vita utile quasi indeterminata; le erosioni di particelle di adsorbenti in polvere sono a livello di qualche 0,1% anno; le modifiche strutturali a seguito dei frequenti cicli di rigenerazione queste sono appena rilevabili dopo 6-8 anni di esercizio.

Nella realtà pratica le zeoliti sono invece esposte a svariati agenti sporcanti, quali polveri aderenti, solventi monomeri in grado di polimerizzare nella struttura microporosa, solventi con elevato ingombro in grado di interagire con la struttura dei micropori, solventi altamente poco volatili che una volta adsorbiti richiedono per essere desorbiti temperature di rigenerazione molto elevate.
La possibilità concreta di assicurare alle zeoliti idrofobe una vita utile non inferiore alle 15.000 ore si realizza conoscendo e prevenendo i fenomeni di sporcamento e di disattivazione con un impiego corretto ed intelligente dell’adsorbente.

In alcuni casi, a causa della complessità della miscela di solventi che viene adsorbita, può verificarsi, ciclo dopo ciclo, un accumulo preferenziale e progressivo di componenti pesanti nel letto di zeoliti con un effetto negativo sulle prestazioni funzionali dell’impianto; ma è sufficiente in tal caso un ciclo di rigenerazione ad aria calda a circa 160-200 C particolarmente prolungato per ripristinare nelle zeoliti una situazione confrontabile con il primo impiego. Per chiarezza di termini, non si può quindi considerare, come disattivazione, il semplice accumulo nella zeolite di componenti poco volatili, a causa del breve tempo concesso ai cicli di rigenerazione. Per definizione pertanto si considera una zeolite totalmente o parzialmente disattivata, quando fenomeni di polimerizzazione, bloccaggio o sporcamento limitano fisicamente il libero accesso delle molecole ai micropori attivi di adsorbimento.


PROPRIETÀ CATALITICHE DELLE ZEOLITI
Le zeoliti a media ed alta temperatura possono esibire proprietà catalitiche con effetti favorevoli o sfavorevoli nei fenomeni di sporcamento, disattivazione o riattivazione di cui è opportuno tenere conto.


ZEOLITE ZSM-5
Preferibilmente la zeolite ZSM-5, nel caso di applicazioni di adsorbimento di solventi, va utilizzata nella forma salina, che presenta una attività catalitica piuttosto ridotta, così da poter operare anche in presenza di monomeri polimerizzanti senza subire drastici fenomeni di disattivazione.
In presenza di stirene, la temperatura dell’aria calda di rigenerazione dove essere alimentata al disotto di 120 C, per limitare al massimo la polimerizzazione del monomero adsorbito.

A temperature più elevate la zeolite ZSM-5, anche in forma salina, esibisce delle attività catalitiche, che possono essere adeguatamente utilizzate per la rigenerazione dell’adsorbente, eventualmente disattivato per fenomeni di bloccaggio interno, polimerizzazione di monomeri nei pori, sporcamento superficiali da polveri organiche.
Tra 220÷280 C si attiva la reazione di isomerizzazione degli xileni; così che le molecole di orto xilene, che si sono eventualmente accumulate, incastrate nei canalicoli della zeolite, progressivamente si convertono in meta e para xilene ed in condizioni di elevati flussi di aria calda, possono fuoriuscire dalla particella adsorbente.
Tra 300÷500 C, in presenza di ossigeno od aria si attivano le reazioni di ossidazione catalitica dei eventuali dimeri o polimeri che si sono formate nelle microcavità della zeolite.
A temperatura superiore, tra 500÷600 C, il reticolo cristallino delle zeolite può subire danni o distorsioni che provocano la disattivazione irrimediabile dei micropori adsorbenti.


ZEOLITE Y DEALLUMINATA
La zeolite Y ha tendenzialmente una struttura più delicata e reattiva rispetto la zeolite tipo ZSM-5. La zeolite esibisce attività catalitica significativa nei confronti dei monomeri polimerizzanti, anche a temperature non eccessivamente elevate, e va pertanto utilizzata con molta cautela. Ad esempio lo stirene, eventualmente adsorbito nella zeolite, tende a polimerizzare velocemente anche a temperature inferiori a 80 C; pertanto solo in minima parte lo stirene monomero viene rimosso con flusso di aria calda, in quanto la velocità di polimerizzazione è superiore alla velocità di desorbimento come monomero. In pratica, una volta adsorbito, lo stirene può essere rimosso solo per flussaggio di aria ad alta temperatura, intorno i 400÷500 C, ove si attivano le reazioni di ossidazione completa dei composti polimerizzati.
A temperatura intorno 200 C alcune tipologia di zeolite Y, con limitato rapporto Si/Al, presentano interazione con solventi aromatici.

METODOLOGIE DELLE INDAGINI SULLA DISATTIVAZIONE DELLE ZEOLITI UTLIZZATE IN IMPIANTO

Dal 2001 la ditta CEMATEK, svolge una attività di indagine circa le variazioni nel tempo delle prestazioni funzionali delle zeoliti utilizzate negli impianti con i seguenti obiettivi.

  • Rilevazione nel tempo delle caratteristiche strutturali delle zeoliti e delle loro prestazioni funzionali nel processo, in funzione del tempo di impiego, delle condizioni operative di impianto ed esposizioni ad agenti o cause disattivanti.
  • Ricerca specifica sulle cause e gli agenti responsabili della disattivazione delle zeoliti e analisi delle soluzioni impiantistiche od operative per ritardare al massimo l’inconveniente
  • Sperimentazione sui trattamenti di riattivazione più idonei pur di assicurare il massimo recupero delle prestazioni funzionali delle zeoliti al primo impiego.
Per comprendere a pieno i meccanismi di disattivazione delle zeoliti è opportuno una breve descrizione della struttura di una particella di zeolite. Un cilindretto o sferetta di zeolite di dimensioni 1.6 mm è costituita da cristalli od aggregati di cristalli di dimensione 1÷5μm, la cui struttura contiene micropori e canalicoli attivi di adsorbimento, di dimensione 0.6 o 0.8 nm, entro cui vengono catturate le molecole di solvente. I cristalli o gli aggregati di cristalli, sono assemblati in una struttura porosa, con macrocavità di passaggio 0.2÷0.5 μm.
I solventi per accedere ai micropori di adsorbimento, devono penetrare dentro la particella adsorbente, diffondersi nelle macrocavità che separano i cristalli, quindi incanalarsi nelle microcavità attive all’interno dei cristalli.

Le diverse tipologie di disattivazione o sporcamento comportano effetti differenti sulle prestazioni funzionali delle zeoliti, che possono essere rilevate con tecniche di analisi specifiche.

Per la rilevazione e caratterizzazione della disattivazione delle zeoliti e la analisi delle procedure di riattivazione sono state adoperate le seguenti metodologie:
Rilevazione delle prestazioni funzionali dell’impianto, che pur costituendo una misura diretta degli effetti di disattivazione del letto adsorbente, purtroppo spesso conduce a risultati più di tipo qualitativo che quantitativo, in quanto le condizioni operative dell’impianto spesso non sono riproducibili.


Rilevazione curve di adsorbimento e desorbimento, realizzati in cella, a condizioni normalizzate per quantità di zeolite, tipologia e concentrazione di solvente e temperature, da cui è possibile distinguere nella disattivazione della zeolite, l’effetto cinetico dall’effetto riduzione numero micropori attivi.

Misure di superficie specifica micropori attivi (effettuata sui campioni dopo flussaggio prolungato di aria calda a 160 C), che in maniera diretta determinano la disattivazione causata da polimerizzazione dei monomeri o bloccaggio per presenza di macromolecole.
Microscopia elettronica, che permette l’esame visivo della superficie delle particelle di zeoliti ad elevato ingrandimento fin quasi la rilevazione dei micropori.
Analisi di campioni in termobilancia, che permette la rilevazione di dati, tra cui le perdite di peso, durante il flussaggio di correnti gassose a temperatura crescente fino a 500 C.
Le analisi in termobilancia, unite a test di trattamenti specifici in forni di laboratorio od apparecchiature pilota, permettono la selezione dei trattamenti più idonei alla riattivazione delle zeoliti


RISULTATI DELLE INDAGINI
Si riportano in sintesi i risultati delle indagini di maggiore interesse pratico, connesse alle cause più comuni di sporcamento e riattivazione.

EFFETTO DELLA POLVERE
La polvere di vernice, trascinata dalla corrente di aria inquinata, aderisce alla superficie delle particelle adsorbenti ed ostacola l’accesso alle macrocavità che conducono alla superficie dei cristalli di zeolite. Ma è poco probabile che le particelle di polvere, per le loro dimensioni riescono a penetrare in profondità nei macropori delle particelle adsorbenti; piuttosto, per ingombro superficiale, la presenza di granuli di polvere aderenti alle particelle adsorbenti, può ridurre il trasferimento di materia tra la fase adsorbente e la fase gassosa fluente.

La microscopia elettronica permette di rilevare con evidenza i granuli di polvere aderenti alla superficie delle particelle adsorbenti e le composizione atomiche superficiali possono fornire una indicazione sulla frazione di superficie realmente coperta.

Per quanto concerne gli effetti negativi concreti sulle prestazioni funzionali delle zeoliti, i risultati dei test ed analisi sembrano relegare la presenza di polveri ad un ruolo marginale, per altro non quantificabile rispetto gli effetti più evidenti della polimerizzazione e bloccaggio delle cavità microporose. Anche nei casi più vistosi di sporcamento delle zeoliti da polveri con colorazione intensa delle superfici, la perdita di attività delle zeoliti che ne risulta è sicuramente inferiore al 10 % rispetto il valore iniziale.
La eventuale disattivazione per presenza di polvere viene in gran parte rimossa per flussaggio di aria calda a 450 °C che provoca la combustione delle polveri in cenere.

EFFETTO DI SOLVENTI AROMATICI CON ELEVATO INGOMBRO MOLECOLARE
Si è riscontrato che la causa più diffusa e determinante della disattivazione delle zeolite ZSM-5 è costituita dalla presenza di orto-Xilene negli effluenti gassosi. Generalmente gli isomeri dello Xilene rappresentano il 10÷20% dei miscela solventi contenuta nell’aria inquinata provenienti da linee di verniciatura o da impianti di rotocalcografia; l’orto-xilene costituisce il 25÷30% della totale miscela degli isomeri.

Le molecole dell’ l’orto-xilene, benché provvisti di dimensioni di ingombro eccedenti i canalicoli della struttura cristallina della zeolite, occasionalmente riescono ad inserirsi nelle microcavità dei cristalli, da cui con maggiore difficoltà possono districarsi. Se in un cristallo numerose vie di accesso vengono bloccate da macromolecole ramificate, la gran parte dei micropori diventa inaccessibile anche alle molecole di dimensione ridotta.

Dalle misure di attività delle zeoliti esposte alla miscela di isomeri di Xileni sembra che un lento equilibrio si instaura nelle molecole di orto-Xilene che permangono nella struttura della zeolite, in funzione della concentrazione del solvente in fase gassosa e della temperatura di rigenerazione. Dopo tre -quattro anni di esposizione all’aria inquinata contenente Xilene la disattivazione della zeolite raggiunge il 30-40 %, per poi quasi mantenersi invariata.
La rimozione dell’orto-Xilene è resa possibile dalle proprietà catalitiche della zeolite che nell’intervallo di temperatura tra 230-280 C attivano la isomerizzazione dell’orto-Xilene con formazione degli isomeri meta e para che possono fuoriuscire dal reticolo delle zeoliti.

Sono state eseguite particolari analisi dei campioni in termobilancia a fornire la certezza del ruolo dell’orto xilene nella disattivazione della zeolite ZSM-5. Nel progressivo flussaggio dei campioni con miscela aria azoto a temperatura crescente, che si realizza nello strumento, si osserva una prima emissione di volatili a temperature 120÷200 C, corrispondente alla desorbimento totale dei solventi non incastrati nella struttura della zeolite. Tra 220 C fino a 300 C segue una seconda emissione più consistente di sostanze volatili, caratterizzati da presenza di componenti a struttura aromatica. La presenza di ossigeno nel gas di flussaggio è indispensabile per prevenire la formazione di coke.
L’esperimento è stato ripetuto in impianto pilota con quantità adeguata di zeolite disattivata, verificando che il rilascio degli xileni si evolve tra 230 a 280 C, pervenendo infine ad una riattivazione della zeolite di poco superiore al 90%.

EFFETTO DI MONOMERI POLIMERIZZANTI
Molecole di monomeri polimerizzanti, quali lo stirene, penetrano in fase di adsorbimento fino ai micropori attivi; in fase di rigenerazione, a temperatura superiore ai 110-130 C, prima di poter lasciare la struttura cristallina, le molecole si aggregano l’un l’altra, formando componenti polimerici con dimensioni di ingombro eccessive per poter procedere lungo le microcavità
Il fenomeno ha un effetto tollerabile nella zeolite ZSM-5, che può essere impiegata per 4-5 anni, nel caso si limita la temperatura di rigenerazione a 110-120 C. La presenza di stirene, determina la disattivazione per polimerizzazione o formazione di legami irreversibili dello stirene monomero con i centri attivi di adsorbimento della zeolite, resi per altro palesi dalla colorazione rosea dei cilindretti di adsorbente.

La riattivazione delle zeoliti richiede un trattamento esterno, in forno rotante e ben areato, a temperatura compresa tra 400÷500 C.
Nel caso della zeolite Y la disattivazione procede quasi totale dal primo ciclo di rigenerazione.

STRATEGIE PROTEZIONE DELLE ZEOLITI E RIATTIVAZIONI
Per contrastare gli effetti di sporcamenti e disattivazione delle zeolite possono essere seguite diverse strategie.
Le correnti di aria inquinata contenenti particolari agenti disattivanti, esempio lo stirene, possono essere convogliati separatamente in alcuni moduli dedicati dell’adsorbitore caricati con un adsorbente specifico, ad esempio carbone attivo.

Il sistema di gestione automatico dell’impianto permette la rigenerazione dei moduli con carbone attivo con un profilo ottimale della temperatura dell’aria.
Nel caso classico di presenza di Xilene nella corrente di aria inquinata si può adottare la soluzione di due strati segregati di letto, il primo caricato con la zeolite Y, che in maniera preferenziale assorbe lo Xilene insieme ad altri componenti pesanti, quali butilacetato e metil-isobutil-chetone. Segue lo strato di zeolite tipo ZSM-5 dedicato all’adsorbimento dei componenti più leggeri ed esposto ad una corrente quasi esente da Xilene. In un impianto realizzato con questa concezione, dopo sei anni di esercizio, il primo strato di zeolite Y è risultato disattivato di appena il 20 %, il secondo strato di zeolite ZSM-5 è risultato attivo come al primo impiego.

In alternativa, per i piccoli impianti, contro la disattivazione innescata dall’orto-Xilene possono essere previsti moduli adsorbenti, idonei ad una temperatura occasionale di rigenerazione fino a 250 C.
Vi è infine la possibilità, nei casi più complessi di ricorrere ogni 4-6 anni ad una completa rigenerazione esterna con un prolungato flussaggio di aria calda con ciclo programmato di temperatura fino a 450 C.
La riattivazione, se ben eseguita dovrebbe assicurare il recupero del 90÷95% della attività di primo impiego, a parte le perdite per delle zeoliti movimentate, che si mantengono al disotto del 5%.

I componenti polimerizzanti o bloccanti dovrebbero ossidarsi in prevalenza ad anidride carbonica ed acqua.